Domenica finalmente si voterà per il tanto vituperato referendum sulle “Trivelle”. Il nomignolo è in realtà fuorviante e fin troppo semplicistico perché come si può apprendere informandosi in rete la questione è in realtà ben più complessa. Dopo attenta riflessione nelle scorse settimane ho concluso che la risposta migliore a questo referendum sia un NO convinto e vado a spiegarvi le motivazioni di questa mia scelta.
Cosa si chiede con il referendum
Iniziamo da quello che è il quesito referendario, ovvero la domanda a cui si chiede risposta. Ecco qua il testo originale:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Tradotto in pratica, si chiede se vogliamo o no che l’estrazione del petrolio e del gas possa continuare fino all’esaurimento dei giacimenti oppure solo fino alla scadenza della concessione. Tutto questo riguarda le piattaforme che si trovano all’interno delle 12 miglia nautiche di navigazione, in cui sono già vietate nuove trivellazioni. Oltre le 12 miglia nautiche invece si possono anche fare nuove perforazioni.
I dati
Detto questo le piattaforme attualmente in essere, entro le 12 miglia nautiche producono il 27% del gas naturale e il 9% del petrolio, sul totale degli idrocarburi estratti direttamente in italia o nelle acque internazionali adiacenti. Queste percentuali corrispondono, in termini di consumi, al 3% del gas naturale e all’1% del petrolio raffinato in italia.
L’occupazione che deriva direttamente dal settore Oil&Gas è di circa 13000 unità, più altre 1500 di supporto. L’indotto non è quantificabile ma dovrebbe essere nell’ordine di alcune migliaia. Questo punto comunque non è chiaro e non sono riuscito a trovare una fonte abbastanza affidabile e certa. Alcuni siti indicano più di 100000 persone tra diretto e indotto, altri molte meno. Il dato che ho scritto mi sembra quello più verosimile tra quelli che ho trovato.
Energia pulita e rinnovabile
Dunque questi sono i dati, quello è il quesito e la sostanza di ciò che viene chiesto. Premetto che da diverso tempo, specialmente dopo il referendum sul nucleare, ho definitivamente scelto di sostenere le forme di energie pulite, soprattutto il solare. Oggi, visti i prezzi dei carburanti raggiunti in italia negli ultimi anni e visto quanto è variabile il mercato diventa fondamentale raggiungere il più in fretta possibile l’indipendenza energetica. Questo obbiettivo dev’essere raggiunto tutelando il nostro territorio e il paesaggio, dato che sono unici al mondo.
Ci serve quindi una risorsa pulita, economica e abbondante. Il sole risponde a questi requisiti. Ci sono poi anche altre tecnologie da sviluppare, migliorare o estendere: l’esempio classico è l’eolico ma ci sono sempre l’idroelettrico, il geotermico e dove possibile le maree. Poi ci sono gli studi sull’energia a fusione che però richiederanno ancora anni di sviluppo. Di sicuro il solare è la via più facile: abbondante, a costo 0 e relativamente facile da produrre. Basterebbe tappezzare tutti i tetti d’italia con pannelli fotovoltaici e saremmo apposto.
Esistono poi delle tecnologie complementari che potrebbero aiutare a conservare l’energia, come ad esempio la “batteria domestica” di Tesla, il cosiddetto “Powerwall” che ci consentirebbe di immagazzinare tutta l’energia prodotta e conservarla, invece di cederla alla rete (o perlomeno non subito). Dunque l’indipendenza energetica è possibile.
Realismo
Detto questo ovviamente bisogna fare i conti con la realtà. Le rinnovabili avranno bisogno ancora di parecchio tempo per diffondersi su larga scala e permetterci un traguardo che non è fantascienza ma pienamente realizzabile. Per piazzare i pannelli sui tetti (in massa) occorre prima di tutto ridefinire gli standard di costruzione di ogni genere di edificio, sia che sia nuovo sia che vada ristrutturato, eccezion fatta per edifici particolari o storici che per i motivi che potete immaginare devono rimanere il più possibile fedeli al loro aspetto.
Ammesso inoltre che venga intrapreso con decisione questo percorso, occorrerà sviluppare ben di più anche le altre fonti, eolico in primis, ma anche geotermico e idroelettrico. Da queste tecnologie escluderei le biomasse, che comunque producono gas serra come scarto e potenzialmente anche polveri sottili. Stesso discorso per i cosiddetti “biocombustibili” che sottraggono alla produzione di cibo quantità significative di territorio.
Sostituire il fossile
Resta poi il problema di come sostituire i motori a combustione. La nostra indipendenza energetica passa giocoforza anche da questo aspetto. Attualmente all’orizzonte non ci sono alternative a buon mercato per i motori a benzina o diesel, perlomeno non con le stesse prestazioni. Si stanno diffondendo bus e bici elettriche e questo è senz’altro un bene, ma in ogni caso la massa di gran lunga più grande dei mezzi in circolazione restano senz’altro le auto.
Attualmente (che io conosca) soltanto Tesla sta cercando di produrre auto ad alte prestazioni per il mercato di massa ma i costi di questi veicoli sono ancora relativamente alti e quindi non competitivi con la stragrande maggioranza della auto comuni. La ricerca comunque va avanti e lo scopo dell’azienda è proprio quello di raggiungere prezzi di mercato e dunque competitivi.
Un buon compromesso sono le auto ibride elettriche e benzina: costano accettabilmente poco più degli equivalenti modelli solo carburante e permettono di risparmiare molto, fino alla metà, con la stessa quantità di carburante e ovviamente soldi spesi. La mia prossima auto sarà ibrida.
Presente e futuro
Quindi, alla fine di questo ragionamento, non ci rimane da considerare che occorreranno ancora 20 o 30 anni (partendo adesso) per ottenere una distribuzione visibile e significativa (magari maggioritaria) dei pannelli solari sui tetti delle abitazioni e verosimilmente lo stesso tempo che servirà per vedere una quota importante del mercato automobilistico orientarsi verso auto completamente elettriche.
Nel frattempo cosa facciamo? L’unica cosa ragionevole da fare, importare il petrolio e il gas naturale che ci servono e possibilmente sfruttare quello che abbiamo in casa. Il senso del referendum di domenica sarà proprio questo perché la verità è che anche se il quesito riguarda solo le piattaforme entro le 12 miglia, il significato della consultazione andrà ben oltre: se una piattaforma si trova a 13 miglia dalla costa e non 12, perché non dovrebbe essere pericolosa? Questo è quello che probabilmente faranno notare gli “ambientalisti” all’indomani di una ipotetica vittoria dei Si. Ecco allora che la prossima battaglia potrebbe essere quella della rinuncia alle piattaforme petrolifere oltre le 12 miglia e magari la chiusura degli impianti terrestri, spinta magari dall’onda lunga delle indagini sul caso Guidi e il petrolio in Basilicata. I dati li abbiamo visti prima.
Produzione e lavoro
La produzione è bassa rispetto al nostro fabbisogno ma è anche vero che questo è un paese in forte difficoltà economica e la ricchezza prodotta dall’industria petrolifera nazionale non è da scartare. Vanno inoltre fatti i conti con tutte le ricadute occupazionali che ci sarebbero da un eventuale chiusura di questa industria in Italia. Ce la sentiamo di lasciare migliaia di famiglie senza reddito? Esiste attualmente un modo per reimpiegarli senza dover per forza ricorrere a sussidi di stato? L’economia attuale è in grado di riciclarli nel mondo del lavoro e far arrivare questa gente all’età della pensione? Parliamoci chiaro: la risposta è no! Inoltre i rischi di incidenti esistono anche per petroliere, fabbriche chimiche ed altro ancora che può comunque essere dannoso per il mare e il suo ecosistema. Non è una giustificazione ma il rischio è accettabile se confrontato col resto.
Mandare in fallimento questo settore non aiuterebbe nessuno, ne le famiglie di chi ci lavora, ne le aziende di casa nostra (e parlo soprattutto di quelle dell’indotto), ne l’ambiente che è inquinato da molti altri fattori, non solo dalle piattaforme, a partire proprio dalle petroliere che solcano i nostri mari per portare il greggio straniero a casa nostra. Perché è evidente che rinunciare al petrolio e al gas nostrano significherebbe, soprattutto nel breve periodo, doverne importare di più. E dato che attualmente i maggiori produttori sono paesi Arabi e Russia, visti i fatti degli ultimi anni, non mi pare una grande idea andare a regalare altri soldi a chi ha creato l’ISIS o a un signore che fa il bullo e che si crede grande e grosso perché ha rastrellato territori altrui e tirato qualche missile su Raqqa.
Alternative
In ogni caso, la linea nazionale non dovrebbe più essere quella di importare dal medio oriente o da altri paesi musulmani, idem per la Russia. Le importazioni dovrebbero venire da paesi affidabili, che sono democratici o che sono sulla buona strada per diventarlo. Gli USA, grazie al fracking, stanno per diventare degli esportatori e sarebbe un ottima alternativa al petrolio Arabo o Russo. Sarebbe inoltre altrettanto rilevante in futuro la possibilità di importare petrolio dal Venezuela, paese ricchissimo di greggio e che forse sta iniziando ad uscire dagli anni bui di Chavez e Maduro.
In conclusione NO!
Riassumendo, le rinnovabili e soprattutto il solare sono il futuro, magari accompagnate dall’energia a fusione. Su questo non ci piove. Ma nel frattempo dobbiamo essere pratici, pragmatici, realisti, concreti e dobbiamo evitare errori palesi, specie in un momento storico così delicato. Dunque domenica prossima non facciamoci del male. Votiamo tutti NO e salviamo la ricchezza di questa fetta della nostra industria nazionale.
Le rinnovabili sono già il nostro futuro, domenica preoccupiamoci del presente.